08/03/2013

Polemica sull’aborto, Scienza&Vita risponde alla CGIL

La CGIL è tornata a sollevare il polverone sull’obiezione di coscienza alla legge 194/78, che regolamenta l’aborto volontario (6 marzo u.s.). La polemica – ancora una volta – viene posta enfatizzando il conflitto tra i diritti delle persone: il diritto degli operatori sanitari a invocare l’obiezione di coscienza, sancito dall’art. 9 della legge 194, e il diritto delle pazienti di accedere al servizio per la interruzione volontaria della gravidanza.

La polemica riguarda il servizio relativo alle IVG presso l’Ospedale di Fano, dove nel reparto ginecologico sono presenti solo medici obiettori di coscienza. E ciò avrebbe determinato – secondo la CGIL – inaccettabili ritardi. Per quanto ci consta il servizio non è mai stato interrotto, e si è realizzato attraverso il ricorso al personale sanitario dell’Azienda Ospedali Riuniti Marche Nord (che – è bene ricordarlo – è nata dalla unificazione degli ospedali di Pesaro e Fano). Dunque – purtoppo! – nessuna interruzione, ma diversa organizzazione della attività, tenendo conto del rispetto del diritto ad invocare l’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Vogliamo sperare che non si voglia in alcun modo conculcare il diritto ad esprimere le proprie convinzioni, né – ad un tempo – di invocare per ciascuno il primato della propria coscienza.

Stupisce il fatto, invece, che nemmeno una parola venga invece spesa da parte di una grande organizzazione sindacale di tutela per sostenere la necessità di incrementare i servizi per garantire alle donne il diritto di poter scegliere davvero se proseguire o no la propria gravidanza: quali e quante risorse sono state investite per mettere la donna in condizioni di non dover abortire? L’art. 5 della legge 194/78 – è bene ricordarlo – recita infatti testualmente: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, … hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta … le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Quali aiuti, sopratutto economici in questo tempo di crisi, vengono offerti concretamente alle donne affinché possano davvero essere libere di scegliere se proseguire la gravidanza o rinunciare al bambino che porta in grembo? Quali iniziative ha intrapreso il sindacato per impedire, ad esempio, donne lavoratrici vengano “censurate” dall’intraprendere una gravidanza? Ben triste che proprio in vista dell’8 marzo non si abbiano altri argomenti per promuovere la dignità e la salute della donna! In coda all’articolo, poi, ci si stupisce per il ridottissimo uso della pillola RU 486 (che, è bene ricordarlo all’articolista, non è la ‘pillola del giorno dopo’ richiamata nell’occhiello!) nella nostra Regione: nel 2011 nessun ricorso a tale metodica per abortire.

È evidente che le donne marchigiane, pur avendola a disposizione negli ospedali, hanno preferito ricorrere alla tradizionale tecnica chirurgica che, evidentemente, ritengono di maggior garanzia, almeno sotto il profilo della salute. E questo sarebbe un male? O forse dobbiamo convincerci per forza che “pillola è bello”?

Fonte: Associazione Scienza & Vita

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