19/12/2013

Sì all’aborto: e perché no all’infanticidio?

Che senso ha commuoversi perché medici finiscono impietosamente dei sopravvissuti all’aborto se poi si urla: l’aborto non si tocca?

Certamente non si può parlare del male in termini assoluti. Sbagliano coloro che affermano (forse per fare bella figura nei confronti del “politicamente corretto”) che qualcosa possa definirsi come “male assoluto”. Di assoluto c’è solo il bene (che è Dio), tutto il resto non pu che essere relativo.
Ciò però non vuol dire che nella prospettiva del male non possa esserci una sorta d’incontrovertibile penetrazione e approfondimento; lo spiega la logica: una volta che si parte da certe premesse è del tutto naturale che si arrivi a determinate conseguenze; quando si sbagliano le premesse, l’arrivo a esiti sempre più infelici e nefasti è in un certo qual modo
inevitabile.
Dico questo perché quando si sente parlare di soppressione di bambini appena abortiti  ancora vivi c’è uno scandalo che non ha una piena giustificazione. Ovviamente non mi riferisco al merito: c’è indubbiamente da scandalizzarsi a conoscere certe cose; mi riferisco piuttosto al fatto che, una volta ammessa la legittimità della soppressione della vita nel grembo materno, non si vede perché questa stessa vita non possa e non debba essere sopprimibile anche qualche minuto dopo l’esecuzione dell’aborto.
Se è sopprimibile prima, lo può essere anche dopo; se non è sopprimibile dopo, non lo può essere primatertium non datur avrebbero detto i latini, cioè non c’è una terza possibilità. Proprio a proposito degli antichi romani, per loro era del tutto lecito praticare l’infanticidio; ne parla finanche Plinio: il pater familias prendeva il bambino appena partorito dalla matrona e lo elevava verso l’alto in ringraziamento agli dèi, ma quando si accorgeva ch il bambino era deforme oppure femmina (nelle famiglie romane non si andava oltre le due-tre bambine), lo scaraventava a terra uccidendolo all’istante oppure dava ordine di esporlo nelle pubbliche cloache dove moriva di stenti o addirittura roso dai topi.
Oggi invece ci scandalizziamo. Certo, chi è contro l’aborto ha le carte in regola per potersi scandalizzare, ma chi è favore no, non può scandalizzarsi.
Il caso di Gianna Jessen ha fatto il giro del mondo. La stessa Rai in un programma pomeridiano la invitò a dare una testimonianza, ma anche in quel caso tanta emozione, sentimento condivisione, senza che però (ovviamente mi riferisco non alla Jessen ma agli organizzatori del programma) si arrivasse ai principi.
Perché rammaricarsi dell’aborto salino, perché discutere dei sopravvissuti all’aborto che portano (come nel caso della Jessen) sui propri corpi i segni della violenza subita, accettando nello stesso tempo la legittimità dell’interruzione volontaria della gravidanza? Accecamento dell’intelligenza? Senz’altro, ma dovuto a cosa? Al fatto che non si può coniugare l’inconiugabile, non si può forare la diga e poi pretendere con le mani di arginarne la distruzione.
Sulla rete c’è un bel video della Jessen che parla ad alcuni politici conservatori australiani;  un certo punto nel suo discorso la giovane donna richiama la responsabilità dei politici e degl intellettuali che sono chiamati a dare “forma” alla società. Ella dice di essere stanca di fare ciò che dovrebbero fare loro, che non è il suo compito, che Dio non ha conferito a lei ma a costoro i talenti per questo tipo di missione. Ecco il punto.
C’è una latitanza che spaventa, c’è un’assenza ingombrante e un silenzio troppo rumoroso: è l’assenza e il silenzio della cultura dell’Occidente che ha deciso di suicidarsi rinnegando la logica elementare e il senso comune.
Che senso ha parlare dei diritti dell’uomo se non si riconosce il diritto primario alla vita? Che senso ha commuoversi perché medici finiscono impietosamente dei sopravvissuti all’aborto se poi si urla: l’aborto non si tocca?

di Corrado Gnerre

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