15/10/2013

Più conviventi e single ora le coppie sposate diventano una minoranza

Ma nell’Inghilterra d’oggi, e per estensione in tutto l’Occidente, sempre più gente prende il monito del causistico scrittore alla lettera. Per la prima volta da quando si tengono le statistiche, nel Regno Unito le coppie sposate sono diventate una minoranza: erano il 56% della popolazione adulta nel 1991, il 51% nel 2001, sono scese al 47% nel censimento del 2011 e da allora probabilmente ancora più in basso. Le tendenze nel mondo sviluppato viaggiano da ovest verso est, partendo dall’America, e questa non fa eccezione: il fenomeno si era già manifestato negli Stati Uniti dove i coniugati sono in minoranza (49,7 %) dal 2005, e ora dalla Gran Bretagna sta diffondendosi con percentuali analoghe nel resto d’Europa.

E’ l’impatto di quella che i sociologi chiamano la “Bridget Jones generation“, dal nome del personaggio dei romanzi di Helen Fielding e dei film che ne sono stati tratti: nell’ultimo decennio – secondo i dati dell’Office for National Statisticsil numero dei single è cresciuto di un terzo e quello dei divorziati di un quinto, mentre aumentano anche i conviventi e coloro che decidono di sposarsi più tardi. Gli sposati in questo paese, costituiscono ancora una maggioranza relativa: circa 21 milioni di persone. Ma sono una minoranza in termini assoluti, superati dai 17,8 milioni di single, dai 4 milioni e mezzo di divorziati  e dai separati in via di divorzio. Un trend che nelle grandi città è ancora più evidente: a Londra le coppie unite in matrimonio sono ormai appena un terzo del totale della popolazione. E il numero delle nozze celebrate in Inghilterra e Galles nell’ultimo anno è più basso dal 1895.

Avanti così e il matrimonio potrebbe quasi scomparire: una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che entro il 2031 i coniugati saranno solo il 40% della popolazione del pianeta. C’è chi la considera una evoluzione negativa: “E’ dimostrato che i matrimoni consolidano la famiglia e i bambini hanno bisogno di una famiglia solida per crescere bene”, osserva Samantha Cellar, direttrice del center for Social Justice. Robert Wheelan, presidente della think tank Civitàs, è ancora più drastico: “La diminuzione dei matrimoni ha implicazioni economiche e sociali. Avremo un futuro di famiglie più instabili e questo porterà come conseguenza una salute meno buona, redditi più bassi, più dipendenza dall’assistenza sociale, più abuso di droga e alcool e più crimine”.

Ma senza bisogno di tirare fuori il famoso ammonimento di Tolstoj nell’incipit di “Anna Karenina”, per ricordarci che accanto alle famiglie felici ci sono anche quelle infelici, basta ricordare i casi di Bill Clinton e Barak Obama, presidenti degli Stati Uniti sebbene cresciuti senza un padre, per dare almeno parzialmente credito alle tesi dell’ultimo libro  di Malcom Gladwell, “Davide e Golia” secondo cui un’infanzia difficile può irrobustire il carattere. Sposarsi e mettere su famiglia , insomma non è sempre la soluzione a tutti i mali: la generazione Bridget Jone, del resto, sta dimostrando di cavarsela anche fuori dal matrimonio, pur continuando a cercare l’amore, che non è necessariamente la stessa cosa. Il primo ministro David Cameron la butta in politica, accusando i precedenti governi laburisti di non avere abbastanza sostenuto i valori della famiglia, e anche per questo il leader conservatore ha voluto la legge sul matrimonio gay: i patti di unione civile tra omosessuali sono già più di 100 mila l’anno. Ma non basteranno i matrimoni gay a riportare le coppie sposate in maggioranza.

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di Enrico Franceschini

Festini

 

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